L’excursus storico della mostra pinerolese si conclude con il 1970, quando nel Tour andato al “Cannibale” Eddy Merckx, toccò ad Italo Zilioli il privilegio di vestire la maglia gialla, spodestando il suo capitano. La mostra, arricchita dall’esposizione di alcune bici d’epoca appartenenti al collezionista Luciano Rizzo, sarà visitabile fino a sabato 6 luglio: il sabato e la domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19, nei giorni feriali dalle 16 alle 19. Un’apertura straordinaria con l’orario festivo è prevista per lunedì 1° luglio, giorno della tappa Piacenza-Torino e vigilia della partenza da Pinerolo.
TUTTO EBBE INIZIO NEL LUGLIO 1922
È il 19 luglio 1922, siamo a Metz, nel Dipartimento francese della Mosella, teatro d’arrivo della tappa del Tour de France partita da Strasburgo. Sulla ribalta sale il vincitore Federico Gay, al quale spetta l’ouverture della qualificata lista di successi torinesi che nell’arco di una cinquantina d’anni fotografa diverse epoche del ciclismo. Perché, in oltre un secolo, i corridori della provincia di Torino non hanno primeggiato solo sulle strade italiane. L’ex aviatore Gay, magari sconosciuto carneade per i più, precede il nome illustre di Brunero, a segno nella Nizza-Briançon del Tour 1924 vinto da Bottecchia. Stessa frazione che sorriderà per i due anni consecutivi a Bartolomeo Aymo, nativo di Virle Piemonte, un altro interprete di spicco del ciclismo eroico e polveroso, capace di raggiungere un doppio podio parigino.
Quella che viene presentata nella mostra visitabile sino al 6 luglio a Pinerolo è un’esposizione che si abbevera alla fonte della stampa francese: è un tributo, in chiave transfrontaliera, che mette in luce la considerazione verso le imprese italiane che riflettono le cronache di illustri giornalisti transalpini, a partire da Henri Desgrange, fondatore del Tour. È una dinamica ben nota su entrambi i versanti delle Alpi Occidentali: il ciclismo come grande motore di interesse mediatico e di perdurante partecipazione popolare. Basti dire che l’antesignana dell’Equipe, l’equivalente francese della nostra Gazzetta dello Sport, vale a dire “L’Auto”, nei tempi eroici del ciclismo tirava 800.000 copie, oppure che i rotocalchi sopperivano con un’ampia documentazione fotografica alla curiosità di chi era stato testimone oculare di entusiasmanti giornate sportive e voleva riviverle. Altri sfogliavano le pagine e lasciavano correre l’immaginazione, magari sognando che, sì, un giorno i corridori sarebbero transitati anche sull’uscio di casa propria. Se gli anni ’30 del XX secolo videro i torinesi conquistare altre quattro tappe, grazie alla tripletta di Camusso e all’acuto del mai abbastanza considerato Martano, il simbolo del ciclismo torinese del dopoguerra è il fermo-immagine di Nino Defilippis osannato dal pubblico dello Stadio Comunale di Torino, al termine della più clamorosa di sette affermazioni sulle strade del Tour de France, l’ultima nel 1960. Dieci anni dopo ci penserà Italo Zilioli a rinverdire le gesta del predecessore, concedendosi il lusso di vestire la maglia gialla per sette giorni.
