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Cittàmetropolitana di Torino

40 ANNI DALL’INCIDENTE A SEVESO. IL RUOLO DELLA CITTA’ METROPOLITANA NELLA GESTIONE DEL RISCHIO INDUSTRIALE

La normativa "Seveso" e la sua applicazione al territorio

L’incidente non rimase purtroppo un caso isolato: il 2 dicembre 1984 a Bhopal, in India, l’isocianato di metile fuoriuscito da una fabbrica di fertilizzanti della Union Carbide si diffuse nell’abitato provocando la morte per avvelenamento di migliaia di persone.
Da allora, la Comunità Europea si è dotata di un’avanzata normativa per la prevenzione degli incidenti industriali (direttiva CEE/82/501 “Seveso”, dir.96/82/CE “Seveso bis”, dir. 2003/105/CE).
Di recente è entrata infine in vigore la direttiva 2012/18/Ue “Seveso III” che recepisce il nuovo sistema di classificazione delle sostanze pericolose secondo il regolamento europeo CLP.

Una parte rilevante della normativa è indirizzata a produrre, da parte delle imprese, una gestione della sicurezza integrata nelle scelte relative al ciclo produttivo, con la finalità di diminuire la probabilità di un accadimento incidentale e la sua ampiezza. Vi è poi l’obbligo da parte dell’autorità pubblica di dotare le aree interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante di piani di emergenza esterna, allo scopo di poter intervenire tempestivamente e con la necessaria conoscenza delle sostanze e dei rischi in gioco. La Città Metropolitana di Torino collabora strettamente con la Prefettura nella redazione e sperimentazione di tali Piani.

Meno sinora si è fatto, specialmente in Italia, per un altro obiettivo essenziale: pianificare il territorio in modo da allocare correttamente le attività industriali e le attività che possono costituire bersaglio degli effetti di un incidente. Non rare, anche nel territorio metropolitano, sono state le previsioni urbanistiche ad alto carico antropico (strutture ricettive, centri commerciali anche di grandi dimensioni, impianti sportivi,…), collocate in prossimità di stabilimenti a rischio di incidente rilevante, così come esistono casi di insediamento di stabilimenti in aree non congrue per la presenza di importanti fattori di vulnerabilità ambientale.

Eppure anche in Italia, con il d.m. 9 maggio 2001 “Requisiti minimi in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante”, vige l’obbligo di verificare le compatibilità tra i fattori di rischio industriale e le dinamiche dell’urbanizzazione.
Il ruolo degli enti di area vasta, riconfermato dall’articolo 22 del d.lgs.105/2015 – che attua la direttiva “Seveso III” - è quello di individuare attraverso il proprio strumento di pianificazione territoriale, che per le città metropolitane è il Piano territoriale generale, le aree sulle quali ricadono gli effetti prodotti dagli stabilimenti Seveso e disciplinare la relazione tra detti stabilimenti, gli elementi territoriali e ambientali vulnerabili, le reti e i nodi infrastrutturali e di trasporto, esistenti e previsti, tenendo conto delle aree di criticità relativamente alle diverse ipotesi di rischio naturale individuate nei piani di protezione civile.
In questa logica, la pianificazione di area vasta costituisce l’unità base per il coordinamento tra la politica di gestione del rischio industriale e l’urbanistica, ed è la sede nella quale ricomporre le non rare situazioni di criticità proprie dei territori di confine amministrativo, sovente ambiti prediletti per la collocazione di stabilimenti Seveso: condizione che comporta, ovviamente, un allargamento dei fattori di rischio sui Comuni limitrofi.
D’altra parte, la normativa di settore prevede che gli strumenti urbanistici dei Comuni interessati da detti stabilimenti debbano individuare e disciplinare le aree da sottoporre a specifica regolamentazione. A tal fine deve essere predisposto uno specifico Elaborato Tecnico “Rischio di incidenti rilevanti (RIR)” come parte integrante del piano regolatore, adeguato ai disposti dello strumento di pianificazione territoriale metropolitano.