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Parto Segreto: il diritto a partorire in anonimato

Un bambino non riconosciuto e lasciato in ospedale non è un bambino “abbandonato”, ma il frutto di un percorso doloroso e consapevole di una donna che, per tanti motivi, sceglie per il nuovo nato un situazione che gli garantisca sicurezza e futuro.

Tutti d’accordo su questa necessità di non colpevolizzare le donne che scelgono di partorire in anonimato, il tema affrontato il giugno presso l'Auditorium della Città metropolitana di Torino (corso Inghilterra 7, Torino) nel corso di un affollato seminario dal titolo "Sos Donna: Parto Segreto" promosso da Regione Piemonte, Città metropolitana, Comune di Torino, Città della salute e della scienza di Torino, Issaca, Consorzio socio-assistenziale del Cuneese e Comune di Novara.

“Un tema delicato che parla della capacità di prendersi cura delle persone più fragili, donne e bambini/e” ha sottolineato nell’intervento introduttivo la consigliera metropolitana alle politiche sociali della Città metropolitana di Torino Valentina Cera. “Le istituzioni devono fare la loro parte per tutelare e sostenere le donne e le loro libere scelte e per prendersi cura dei bambini e delle bambine con i percorsi di affido. Servizi socio-assistenziali efficaci, efficienti e ben finanziati sono la chiave per portare avanti la società della cura. Non è il giudizio ma la sua capacità di cura a qualificare una società coesa e accogliente. Grazie agli organizzatoriper questa stimolante giornata di confronto”.

Il seminario ha affrontato in particolare la legge regionale 16 del 2 maggio 2006, che garantisce il diritto della donna a partorire in anonimato (sancito innanzitutto con un decreto del Presidente della Repubblica del 2000), con la partecipazione di rappresentanti della Procura e del Tribunale per i minorenni, personale dei servizi sanitari e dei servizi sociali.

L’entità dei parti segreti è andata diminuendo negli anni: una cinquantina nel 2003, una dozzina nel 2022. Incidono meno, probabilmente, gli stigmi sociali nel confronti delle madri single, ma la diminuzione è solo parzialmente un buon segno: bisogna rafforzare l’informazione e garantire con molta attenzione il diritto all’anonimato.

Molto si è discusso durante il convegno sulla protezione dell’anonimato delle madri quando i figli non riconosciuti, diventati adulti, chiedono di conoscerne l’identità.

La Città metropolitana ha il compito di custodire le cosiddette "buste chiuse", ovvero le buste che vengono formate negli ospedali al momento del parto e che contengono le informazioni della madre che ha deciso di partorire in anonimato, nonché le informazioni legate al neonato durante la sua permanenza in ospedale. Le buste vengono aperte solo su ordine del Tribunale per i minorenni: il Tribunale si occupa di contattare la madre e chiedere il suo consenso nell'incontrare il figlio e così svelare la sua identità. Le richieste sono circa una quindicina all’anno (riferite quindi al ventennio prima) ma la maggior parte delle donne non dà il consenso.

A difesa del diritto delle donne a non riconoscere i figli e garantirsi l’anonimato giunge in conclusione del convegno la testimonianza di una figlia adottiva non riconosciuta alla nascita, Claudia Roffino, che alla sua esperienza ha dedicato i libro autobiografico "Una vita in dono". Sottolinea che dietro a ogni parto segreto c’è un storia drammatica, talvolta di violenza o anche in cui la donna rischia la vita, e ricorda che dietro all’ostracismo che ancora oggi accompagna le donne che scelgono di non essere madri non corrisponde un uguale atteggiamento nei confronti del dovere di esser padri.